Per affrontare la questione energetica italiana serve una riflessione seria almeno su due aspetti: l’inganno delle “fonti assimilate” e la maggiore equità redistributiva (non il taglio) degli oneri per l’incentivazione delle fonti rinnovabili.
Affermare, come ha affermato nei giorni scorsi il ministro per lo sviluppo economico Romani , che gli incentivi per le rinnovabili hanno costi troppo elevati per la collettività e, per questo, devono essere aboliti, non è il modo migliore per affrontare la questione energetica italiana.
Obiettivo dichiarato dal governo è quello di ridurre l’incidenza degli incentivi pagati attraverso le bollette elettriche. Ma il governo non sa, o fa finta di non sapere, che in Germania, ad esempio, gli incentivi per le rinnovabili racimolati attraverso le bollette elettriche sono due volte tanto quelli italiani.
La maggior parte degli oneri generali pagati in bolletta, inoltre, rientrano nel “capitolo” cosiddetto CIP6, ovvero quello che raccoglie i contributi dei cittadini per le energie rinnovabili e assimilate.
Nella parola “assimilate” vengono inclusi tutti quegli impianti che sfruttano il calore residuale dei processi di lavorazione e i fumi di scarico. Quindi: termovalorizzatori (cioè inceneritori), centrali con impianti di cogenerazione, impianti di raffinazione del petrolio gassificato e bruciato, ecc. Non tutti, come si vede, hanno a che vedere con le fonti energetiche rinnovabili e pulite.
Quanto incide sulla collettività la parte di bolletta dedicata alle sole e reali fonti rinnovabili?
I dati dell’Aeeg (Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas) del 2009 indicano in 2,4 miliardi di euro il totale “onnicomprensivo” della componente A3 della bolletta elettrica. Di questi: circa un miliardo è stato attribuito alle fonti rinnovabili e circa 1,4 miliardi sono stati destinati alle fonti assimilate.
Secondo i dati del 2008, invece, la stessa componente, ha inciso per una media del 6 per cento sui costi complessivi netti della bolletta elettrica.
“Dis-equità” redistributiva degli oneri e possibili misure
Questo meccanismo di tipo parafiscale rende alcuni problemi di equità redistributiva degli oneri. Infatti il consumo elettrico, attuale indicatore di misura dei prelievi fiscali, non è sempre proporzionale al reddito del contribuente. Ad esempio un’impresa che fa alti profitti con bassi consumi elettrici pagherà meno incentivi di un’attività che consuma molta energia e produce meno ricavi. Allo stesso modo per le famiglie e le utenze domestiche: una famiglia numerosa pagherà gli oneri in misura maggiore rispetto alle utenze “single”, costituite da un’unica persona con reddito maggiore.
Una possibile misura di perequazione, come auspicato dall’Aeeg già dal 2009, è individuata nel trasferimento degli oneri relativi alle rinnovabili a carico della fiscalità generale. Questo vorrebbe dire, in effetti, una reale incidenza e proporzionalità dei prelievi fiscali in base al reddito con una conseguente più equa ripartizione dei carichi tra i cittadini per l’incentivazione alle rinnovabili.
In definitiva sarebbe oggi auspicabile prevedere, vista la situazione critica a cui si sta per approdare (per l’enorme sviluppo delle rinnovabili in pochi anni):
- da un lato: una graduale riduzione delle risorse destinate alle fonti assimilate, fonti che nulla hanno a che vedere con l’energia pulita da fonti rinnovabili
- dall’altro lato: una più equa ripartizione degli oneri di incentivazione delle rinnovabili attraverso il loro “slittamento” sulla fiscalità generale, anziché sulla bolletta elettrica.
“Tecnologie energetiche pulite, fotovoltaico, fonti rinnovabili: queste le leve per uno sviluppo sostenibile e consapevole. Il giornalismo ambientale e le nuove tecnologie sono ottimi strumenti di condivisione per tracciare nuove strade”
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